L’IP nel mondo: una mappa per il futuro?

Le statistiche della WIPO (l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale) pubblicate per gli anni 2015-2016 sono un ottimo metodo per farsi un’idea di dove si sta spostando l’asse economico/industriale del mondo in vista del 2017 che si avvicina. Vale, dunque, la pena commentarle sommariamente, anche per sfatare qualche falso-mito e per godere di qualche sorpresa. Per semplicità mi soffermo solo sui brevetti e sui marchi. Per chi vuole saperne di più, si può trovare tutto qui.

Se cominciamo dai brevetti, non c’è storia: sono dominio delle potenze asiatiche. Quest’anno l’ufficio brevetti cinese ha sfondato il record di più di un milione di domande ricevute in un anno (+18,7% rispetto all’anno scorso). Come si vede nella figura sottostante, la Cina riceve il doppio di domande rispetto agli USA e lo European Patent Office è decisamente indietro con solo 160.000 domande ricevute. Più in generale, i brevetti godono di buona salute, con un +5.2% di registrazioni rispetto al 2015.
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Il successo della Cina è ovviamente spiegabile con il fatto che, dopo tutto, è ancora un paese in via di sviluppo (anche se andando a Pechino o Shanghai non si direbbe). Quindi, il suo sistema di IP parte da più indietro rispetto al mondo occidentale o al Giappone. Tuttavia, il trend che la Cina sta seguendo da almeno il 2010 è impressionante. Eccolo qui, seguite la linea rossa:

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Mentre noi ci siamo sempre auto-rassicurati, ripetendoci che i cinesi sono buoni solo a copiare, la Repubblica Popolare è diventata un grande importatore ma anche un grande esportatore di innovazione e usa l’IP su base regolare. Anche i circuiti internazionali: indovinate nel 2014 quale multinazionale è stata la più attiva con le domande di brevetto internazionali (PCT)?

schermata-2016-12-18-alle-23-22-59 Ebbene sì, Huawei ha battuto tutti e vi informo che è tranquillamente tre le prime 10 imprese al mondo come portafoglio-brevetti.

Purtroppo, l’Italia non occupa una posizione rilevante nel settore dei brevetti. Ciò conferma, ahinoi, la nostra scarsa vocazione alla Ricerca&Sviluppo rispetto a Germania, Olanda e altri paesi UE. Per fortuna, una gradita sorpresa viene dai marchi:

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Come potete vedere, lasciando perdere le cifre mostruose che caratterizzano l’ufficio marchi cinese, l’Italia ha battuto la Cina per quanto riguarda il trend di registrazioni del 2016 rispetto al 2015.

Questo dato può voler dire diverse cose (se avete un’opinione a proposito, fatemi sapere nei commenti). Io penso che stia ad indicare che il nostro Paese, seppur in tempi di grave crisi, mantiene intatta una naturale vocazione al branding. Cosa che, peraltro, abbiamo in comune con stati come la Francia.

Naturalmente, i dati relativi all’IP non sono sufficienti per costituire la base empirica di una politica industriale nazionale, della quale ci sarebbe molto bisogno. Tuttavia, danno comunque un’indicazione dei settori sui quali si dovrebbe puntare con insistenza ed ambizione. Questo, però, senza sacrificare la Ricerca&Sviluppo che è un settore del futuro (e del presente) tanto quanto il branding e che ci permetterebbe di mettere a frutto molte delle nostre migliori risorse umane.

Partiamo da questi dati per prepararci alle sfide del 2017.

La nuova dimensione metafisica dei marchi (?)

Il 16 Dicembre 2015 sono stati adottati ufficialmente la nuova Direttiva (UE) 2015/2436 in tema di Marchi (di seguito ‘Direttiva Marchi’) e il Regolamento (UE) 2015/2424 sul Marchio dell’Unione Europea (di seguito ‘Regolamento MUE’).

Il Regolamento MUE è divenuto ufficialmente operativo il 23 Marzo 2016. Ciò ha comportato immediatamente alcune innovazioni formali. In particolare, l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) ha cambiato nome in Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO) e il Marchio dell’Unione Europea ha rimpiazzato il vecchio Marchio Comunitario. Inoltre, il nuovo Regolamento introduce delle innovazioni sostanziali molte delle quali si ritrovano parallelamente nella Direttiva.

Quest’ultima, invece, andrà recepita dai singoli legislatori nazionali in due passaggi: 14 Gennaio 2019 e 14 Gennaio 2023. La prima di queste scadenze è la più importante, in quanto riguarderà gran parte degli elementi sostanziali della nuova disciplina tra cui, ma non solo, la definizione di marchio e gli impedimenti assoluti e relativi alla registrazione. La seconda scadenza, invece, riguarda unicamente l’implementazione a livello nazionale delle procedure per sancire la decadenza o dichiarare la nullità dei marchi.

Sono sicuro che si diranno molte cose su questa riforma, anche se, per ora, se ne sono dette stranamente poche. Qui mi piacerebbe introdurre la novità più ‘intrigante’: l’abrogazione del requisito della ‘rappresentabilità grafica’ del marchio ai fini della registrazione. 

Siamo tutti cresciuti con la formuletta della Direttiva 2008/95/CE che all’articolo 2 stabilisce che ‘possono costituire marchi d’impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente (…)’. Non sarà più così. Infatti, l’articolo 3 della nuova Direttiva dice che ‘sono suscettibili di costituire marchi d’impresa tutti i segni (…)’. Nessun riferimento alla necessità di rappresentare graficamente il marchio.

Questo vuol dire che un mp3 sarà sufficiente per convincere un ufficio marchi a rilasciare un marchio? E che dire dei misteriosi marchi olfattivi?

Certamente il lavoro della giurisprudenza comunitaria, che in tema di registrabilità si basa e continuerà a basarsi sul cd. ‘Sieckmann Test’, discendente dal caso Ralf Sieckmann c/ Deutsches Patent und Markenamt [C-273/00] 12 Dicembre 2002, ne sarà semplificata. Ogni segno capace di distinguere un prodotto potrà essere un marchio, indipendentemente dalla sua natura.

Siamo davanti a una rivoluzione? Dal punto di vista pratico forse no. Forse gli uffici marchi saranno ancora severi in tema di marchi uditivi e probabilmente a pochi verrà l’idea di incaponirsi sulla registrazione di un marchio olfattivo.

Tuttavia, dal punto di vista teorico, questa mi sembra un’innovazione profonda. Siamo in un mercato digitale, in cui il contenuto intangibile degli oggetti e del loro brand vale molto più della componente tangibile dei prodotti, cioè l’hardware. In questo contesto l’idea che tutto possa, astrattamente, essere un marchio fa molto riflettere. E’ nata la metafisica dei marchi? Oppure, più semplicemente, siamo immersi in un mercato, e in una società dei consumi, che hanno assunto forme così camaleontiche ed invasive che (troppo spesso) sfuggono al nostro occhio (troppo spesso) inconsapevole?

 

InnovAction Life Sciences

Sono molto contento di aver partecipato, come consulente, alla stesura del presente paper del Think Tank n°1 in Italia Action Institute.

Il lavoro si sofferma su come incentivare, rafforzare e potenziare il settore delle Life Sciences e quello Research&Development nel nostro Paese. Ha ricevuto il consenso dei principali protagonisti del settore ed è stato definito “eccellente” dal Prof. Guido Tabellini.

Riporto di seguito l’executive summary del lavoro. Nella sua interezza, il paper è scaricabile dal sito di Action Institute qui.

 

EXECUTIVE SUMMARY

L’Italia, come dagli ultimi dati (PIL +0,6%), sembra iniziare la sua ripresa. Per tornare ad una crescita sostenuta, tuttavia, il Paese deve non solo rammendare un sistema economico fratturato dalla crisi, ma anche investire nei nuovi settori che stanno trainando l’economia globale: il digitale e le “Scienze della Vita”. Action Instutute, attraverso il progetto InnovAction, si è già occupata dell’economia digitale e di come l’Italia possa cogliere nuove opportunità in questo settore nascente. Con questo Policy Brief vogliamo fare una breve indagine su un altro settore cardine della nuova crescita, Life Sciences, o Scienze della Vita.

Il Policy Brief mette in evidenza come ci sia molto spazio di manovra per dare nuova energia al settore delle Life Sciences. In particolare, Action individua quattro punti di criticità all’interno della legislazione italiana che, se modificati, potrebbero trasformare un settore già trainante in un ancora maggiore punto di forza per il Sistema Italia.

Riportando la titolarità dei brevetti in capo alle università, Action Institute propone il superamento del “Privilegio Accademico”. Questo, unitamente alla revisione dei criteri di finanziamento alle università e alla trasformazione degli Uffici del Trasferimento Tecnologico (UTT) in centri di profitto per le università e altamente specializzati, ha la potenzialità di creare condizioni più favorevoli allo sviluppo dell’attività di ricerca scientifica e di rendere più efficiente il processo di trasformazione della proprietà intellettuale in attività d’impresa.

Nell’ottica di promuovere il settore delle Life Sciences e gli investimenti in R&S imprescindibile risulta essere un ripensamento delle agevolazioni fiscali. Il legislatore nel corso del 2015 ha già predisposto nuovi strumenti quali il credito d’imposta e il Patent Box a sostegno di questi investimenti. Per rendere questi strumenti maggiormente incisivi si raccomanda, per il Credito d’imposta, l’estensione a tempo indeterminato ( non per soli tre periodi d’imposta come avviene attualmente) e per Il Patent Box, nel breve periodo, l’allineamento della tassazione alle più favorevoli tassazioni europee mentre nel lungo periodo il superamento di logiche competitive nell’ambito dell’applicazione del Patent Box nell’Unione Europea.

Una quarta ed ultima area di intervento individuata da Action è il sistema di finanziamento delle scienze della vita in Italia. Action propone il superamento dei contributi “a pioggia” da parte del Governo centrale, la cui ratio molto spesso è priva di principi legati alla meritocrazia e best practices internazionali, e propone un modello fondato su obiettivi chiari e focalizzati favorendo realtà strategiche di portata potenzialmente internazionale. Si raccomanda infine la creazione di un pacchetto di facilitazioni a sostegno del venture capital mettendo da parte logiche regionali ed arrivando alla creazione di pochi fondi presenti sul panorama italiano di molto superiori a quelli che attualmente caratterizzano il panorama nazionale.

L’analisi di seguito proposta si pone l’obiettivo di elaborare soluzioni concrete per potenziare il settore Life Sciences in Italia in termini di capacità di produrre ricerca e di creare legami con il mondo d’impresa da sottoporre ai policy-makers.

Il paper è organizzato in 5 sezioni:

i. Contesto di riferimento
ii. Brevetti
iii. Trasferimento tecnologico
iv. Finanza
v. Incentivi fiscali